Lucia Pozzo: le barche e l’impegno sociale di una donna al comando

Nel 1996 esce, per i tipi Mursia, Donne in mare, a firmarlo è una donna che, partendo dalla sua esperienza racconta,  senza fare sconti e con una buona dose di ironia, luoghi comuni e pregiudizi sulle donne al comando. Lo firma Lucia Pozzo, torinese, classe 1961, laureata in architettura e un curriculum sportivo che va dallo sci alpinismo, all’arrampicata, alla vela. Oggi è al comando del Tirrenia II, goletta del 1914 di cui era stata comandante dal 1992 al 1995. Le barche d’epoca sono un’altra delle passioni di questa comandante che è un nome nel mondo della nautica e ha un palmares di tutto rispetto. Senza clamore ma senza mai cedere acqua ha aperto la rotta a tante altre ragazze dimostrando che il posto delle donne è là dove vogliono stare. E Lucia ha scelto di stare al comando senza perdere di vista i problemi a terra.

image_6483441D.- Tra il mare e il pregiudizio degli uomini, che cosa l’ha messo di più a dura prova?

Lucia Pozzo – Sicuramente il mare! Del pregiudizio me ne sono sempre fregata. Volevo realizzare i miei sogni, l’ho fatto indipendentemente dagli sguardi preoccupati degli altri skipper. La donna ormai ricopre ruoli dirigenziali in ogni settore e non credo che debba fare più notizia una donna che intenda fare la skipper e che dialoga con un armatore.

D.- Però all’inizio non è stato facile. Lo ammetta. Gli uomini erano, e forse sono, un po’ restii a lasciare il timone. Lei ha aperto la rotta a tante altre donne sin da quando ha messo in barca il primo equipaggio di sole donne.

Lucia Pozzo – Penso di aver dato il via ad un nuovo filone, non solo in quanto donna, ma perché molto giovane e poco conosciuta nel settore. Ho cominciato a fare la skipper perché volevo andare per mare e decidere io per me stessa. Volevo fare le regate ed essere conosciuta e mi è venuto in mente di fare le regate con un equipaggio formato da donne. In Francia c’erano già realtà del genere. Ho deciso di farlo anch’ io, poi però ho capito che premia l’esperienza, indipendentemente dal sesso.

D.- Quindi in mare non conta il sesso ma solo l’esperienza?

Lucia Pozzo – Conta non accettare mai compromessi. Io non l’ho mai fatto.

D.- Chi non accetta compromessi rischia di fare la fine di Clarisse Crèmere, abbandonata dallo sponsor e sostituita con un uomo perché diventata madre.  

Lucia Pozzo – Il caso della velista abbandonata dallo sponsor lo reputo un sopruso. Una donna che intende gareggiare che sia in mare o sulla neve, sa di dover programmare anche una maternità e dovrebbe essere sostenuta nelle sue scelte. Credo, però, che la scelta dello sponsor non sia legata solo alla maternità, ma che sia stata una scusa. Ma è solo una mia ipotesi.

D.- Per un Clarisse che viene abbandonata abbiamo una Kirsten Neuschäfer, in testa alla  Golden Globe. Perché i successi delle veliste fanno notizia?

Lucia Pozzo – Il successo di una donna non dovrebbe fare più tanta notizia, dovrebbe essere la normalità.

D.- Una parte forse meno nota della sua vita in mare è l’impegno sociale. Con le Falchette di Airc, promuove la raccolta fondi per una borsa di ricerca sul cancro. Perché si è messa al comando di questa missione?img_0414

Lucia Pozzo – Mettere a disposizione le mie competenze per una causa così importante mi sembra il minimo. Tutti dovremmo impegnarci di più per il sociale e per promuovere questo tipo di attività. A Imperia, con lo stand AIRC, Fondazione per la Ricerca sul Cancro, e le Falchette cerchiamo di avvicinare anche i giovani a questo tipo di impegno. Un equipaggio di donne, in questo senso, è rappresentativo.

D.- Lei è anche una pioniera di vela solidale. Ci racconta qualcosa del suo impegno?

Lucia Pozzo –  Con AICS (Associazione Italiana Cultura Sport) ho  fatto corsi di velaterapia, acquisendo brevetti. Mi è servito perché a Torino collaboro da quarant’anni con un’associazione che si occupa di ragazzi con problemi di diverso tipo, dalla depressione a sindromi come l’autismo. Sono anni che portiamo avanti questo discorso in città. Usiamo una piccola barca di 8 metri,  la vela aiuta a socializzare, il più prepotente aiuta il più debole, c’è cooperazione. Questa esperienza mi ha aiutato, e mi aiuta, a capire molte cose. Imparo molto da ragazzi.

D.- Il mare come luogo di rinascita, la vela come terapia sono due dei pilastri della vela solidale. Per lei il mare è stata una cura o una dipendenza?

Lucia Pozzo –  Né l’uno né l’altro. Il mare resta il mio elemento, anche se dalla finestra di casa vedo la montagna. Per me l’importante è sentirmi libera. Mi sono appassionata alla vela e al restauro di barche storiche e ne ho fatto la mia professione. Tutto qui.

D.- Dagli oceani alle vette alpine, una vita immersa nella natura: riesce a capirli i ragazzi e le ragazze di oggi che vivono attaccati al cellulare, perennemente connessi?

Lucia Pozzo – Questo è un dramma!  Ho un figlio di 24 anni che ha vissuto qui, in montagna, e ora  fa l’università a Torino. Torna a casa e dice che sta bene nella sua baita, ma non porta neanche a passeggio il cane per finire di guardare una serie in tv. Mio figlio cerca la natura, nonostante l’onnipresenza del cellulare. Lo guardo e penso ai giovani che vivono in un condominio o in un appartamento in città…

D. – Quindi che si fa? Togliere il cellulare e affrontare il conflitto?

Lucia Pozzo – Sport all’aria aperta: ti impegna molto e devi lasciare da parte social e telefono. Se i genitori mandassero i figli fin da piccoli a fare, che so, un corso di vela o li iscrivessero agli scout,  probabilmente avremmo adolescenti e giovani adulti più equilibrati, più sensibili. In questo la scuola italiana non aiuta. In Germania vanno a scuola nella natura, hanno un sistema diverso, da noi si continuano a fare le classiche gite a Firenze o in altre città. Molto meglio sarebbe fare la settimana bianca o la settimana di vela, o qualunque altra gita all’aria aperta. Dovremmo impegnarci con quello che abbiamo a disposizione per appassionare i giovani alla natura e a ciò che essa può darti.

Intervista di Serafina Di Lascio

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