I veri disabili? Sono le persone che non inseguono i sogni.

Sono oltre ventimila le persone nate tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta che hanno malformazioni causate dal Talidomide, un farmaco prodotto da un’azienda tedesca e utilizzato come antinausea per donne in gravidanza. Dopo un processo talmente lungo da meritare l’appellattivo di Mammuthprozess è emersa la verità: qualcuno sapeva dei possibili effetti collaterali ma la logica del profitto ha avuto la meglio sulla salute delle persone. Una storia di ordinaria avidità che ha segnato la vita di decine di migliaia di donne, di famiglie e di bambini. Anche quella di Alfredo Giacon, navigatore che da oltre tre decenni gira il mondo a bordo di Jancris, in compagnia della moglie Nicoletta e dei suoi fedeli cagnolini. Alfredo ha raccontato le sue avventure per mare in una serie di libri pieni di avventure e consigli utili. Tra tante copertine blu ce n’è uno con la copertina nera e un titolo che non ha niente a che vedere con il mare: Talidomide, il grande silenzio. Tra le pagine c’è pezzo della sua storia.oltre-lorizzonte talidomide

«Il libro dalla copertina nera racconta una parte di me, quella mancante e che mai avrò, ma che è stata anch’essa artefice della mia crescita come individuo. Sono nato senza un pezzo di braccio e senza mano, per me è normale fare tutto con una mano, anzi non saprei cosa farmene di una mano in più perché ho imparato a fare tutto a modo mio, con sistemi miei, fin dalla nascita» comincia a raccontare.«Utilizzo la parte del braccio destro, i piedi, i denti, e tutto quello che posso per fare al meglio quello che devo fare. Premesso questo, non ho mai scritto nei miei libri della mancanza di un pezzo d’arto superiore perché non mi sono mai sentito diverso dalle altre persone e non è mai stato un peso o una sofferenza non poter contare su una mano in più. La fatica in mare è fatica per chiunque, la cosa importante è sapersi adattare a ogni condizione per superare ogni inconveniente in ogni situazione. Un ambiente come quello di una barca in mare aperto per prima cosa sollecita la mente e l’equilibrio personale, prima che il resto del corpo. In barca, durante le attraversate oceaniche non c’è bisogno di correre o lavorare sulle vele con il cronometro in mano, il bello della vela e della navigazione d’altura è che c’è tempo per fare tutto, l’importante  è che il lavoro venga eseguito bene, non in fretta. Partendo da questo, grazie anche all’aiuto dell’elettronica, si può veleggiare anche in solitario, o in età avanzata, o in presenza di disabilità, in quest’ordine.»
Una vita da vagabondo degli oceani come scelta di vita, un sogno coltivato da sempre che non è stato limitato dal quello che Alfredo chiama «il pezzo mancante»
«Non ricordo il momento previso in cui ho deciso di partire per mare, diciamo che l’ho sempre saputo che un giorno sarei partito su una barca a vela per andare a perdermi in mare, la vita e il destino hanno fatto il resto. Ho avuto la grande fortuna di poter cambiare vita e andare a vivere in barca all’età di trentadue anni. Su come sarei andato per mare non c’erano dubbi, la barca a vela era l’unica scelta da fare. Non si può pensare di vivere a zonzo per gli oceani su una barca a motore, non con un budget come il mio. Nei miei libri ho sempre cercato di raccontare avventure, emozioni, e luoghi stupendi per dare alle persone stimoli e la voglia di andare scoprire cosa c’è oltre la linea dell’orizzonte, di seguire i sogni fino a raggiungerli. Questi stimoli, la voglia di emulazione e la curiosità, io li chiamo il tarlo del viaggiatore. È questo tarlo che permette di  fare cose eroiche a persone normali o disabili. La libertà comincia dalla testa e da quanto forte è l’energia che si ricava da un sogno. I veri disabili per me sono le persone che hanno smesso di sognare.»
E prosegue: «La vita di bolina viene sbattuta in faccia a tutti, in un modo o nell’altro, a chi prima e a chi dopo. Quando accade che il vento gira e ti viene contro bisogna avere non solo la prontezza di riflessi di accorgersene quanto prima, ma l’intelligenza di non combattere il vento scontrandosi, ma cercare di cambiare rotta per averlo almeno un po’ favorevole e ritrovare l’armonia perduta. La vita è una grande palestra, ed in questa palestra il mare è un maestro eccezionale e benevolo se lo si approccia con umiltà e senza sfidarlo. Lo strumento migliore che permette di dialogare con il mare è la barca a vela, questa permette di interagire con lui, capirne l’umore e infine, dopo qualche tempo di dialogare. Parlare con il mare e la natura in generale fa bene allo spirito e all’umore, dona energia positiva e permette riflessioni che in luoghi come le grandi città non sono possibili. Noi siamo parte della natura, lo capisci quanto ti ci immergi, che sia un oceano o una foresta, un lago o un bosco. Quest’inverno ho trascorso qualche mese in montagna, lì ho scritto il mio nuovo libro che parla di barca e navigazioni, di un viaggio incredibile di Jancris. Quando ero scarico, svuotato da ogni idea o energia, uscivo di casa e andavo tra la neve nel bosco, un bosco non lontano ma piuttosto isolato. Il bosco mi ha dato sempre la serenità necessaria per iniziare a dialogare con lui. Dialogavo e mi ricaricavo, le idee tornavano e i ricordi riaffioravano. Per ringraziarlo di questo dono e di quanto mi sentivo bene, sceglievo un pino, uno vetusto dal tronco grosso e lo abbracciavo per un po’. Poi tornavo a casa al calduccio e mi rimettevo davanti al computer pronto a riprendere a scrivere. Quello che mi è accaduto in montagna avviene anche in mare, ma in modo esponenziale. Sarà l’acqua salata, gli orizzonti liberi, non so, ma a me aver conosciuto il mare attraverso la barca a vela ha fatto bene, mi ha dato tutto quello che in città non trovavo, e quest’anno festeggio non solo trent’anni di vita in mare su Jancris, ma anche trent’anni di matrimonio con Nicoletta. Buon Vento a tutti !»

Alfredo Giacon

TORNA ALLA NEWSLETTER