MARELIBERA. IL DIARIO DI BORDO DI VINCENZO
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MARELIBERA 2013 – IL DIARIO DI BORDO DI VINCENZO DELLA NAVE DI CARTA
26 aprile 2013 – Preparativi
«Quanto è grande la tua carrozzina?»
«Porto quella manuale. 90 per 80 per 30. Però si possono togliere le rotelle»
Io l’adoro Vincenzo. Non tanto perché è l’unico disabile (lui dice handicappato, ma lo può dire perché è uno soggetto politicamente scorretto) che conosca che ha in progetto di fare il giro del mondo in sedia a rotelle, ma perché è uno di quelli che davanti ai problemi ha sempre una soluzione. Di solito assurda, ma la sostiene con tale energia che finisce per diventare reale.
«Ma hai visto bene la barca?»
«Mi spostate a braccia, che problema c’è? »
Ecco appunto, per Vincenzo non c’è quasi mai problema. La sua tesi, la sintetizzo, è che la disabilità sia prima di tutto un problema tecnico. E quindi risolvibile purché ci sia la volontà di farlo. Sembra una cosa semplice ma non lo è.
Il suo punto di vista ha sempre il potere di mettere il cosiddetto “normale” davanti a tutte le sue carenze, alle sue ambiguità, alle sue insicurezze. I normali non sanno mai come maneggiare la disabilità. Oscillano perennemente tra il tentativo di ignorarla e il pietismo.
Vincenzo, a volte molto brutalmente, ti impone sempre di guardare e di andare all’essenza dei problemi. Una volta mi ha detto: «I miei diritti di cittadino sono garantiti dalla Costituzione. Non ho bisogno di leggi speciali perché sono su una carrozzina». Giusto. È nell’articolo 3 della nostra Carta: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»
“Pari dignità”, già.
Dignità è una parola che Vincenzo usa molto. Sono sei decenni che combatte una battaglia personale e sociale per la dignità. Una parola di cui abbiamo dimenticato il significato. Deriva dal latino dignus, e significa meritevole. Secondo alcuni ha la stessa radice di Di – cere, cioè dire e anche Do- cere, mostrare. In senso filosofico la dignità è il valore intrinseco di ogni essere umano.
Drin… Drin
«Pronto, sono Vincenzo. Ma ce l’avete in barca una cucina?»
«Sì certo? »
«Ah, meno male. Devo scaldarmi un certo latte e mi è venuto il dubbio che non ci fosse modo. Ci vediamo domani»
Ecco, mentre io sono qui a preoccuparmi (ci sarà troppo mare? E se non ci danno l’ormeggio all’inglese come si fa? E se .. e se..), Vincenzo si preoccupa di scaldare il latte. Probabilmente sono l’unica a preoccuparmi a bordo.
Il comandante è sereno, Antonio anche, Giulia pure non mi sembra preoccupata, a parte il fatto che da donna avveduta ha trovato un telo da trasporto da ambulanza e l’ha portato in barca. La disabilità è un problema tecnico. Si può affrontare, risolvere e superare. Basta pensarci, basta volerlo.
Mentre aspettiamo l’arrivo del nostro equipaggio facciamo gli ultimi preparativi. Prima o poi ci riuscirà di arrivare a un partenza senza doverci scapicollare. Prima o poi, ma non questa volta.
Con Vincenzo abbiamo pensato di tenere questo diario a due voci del viaggio della Nave di Carta a MareLibera.·
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27 aprile 2013 – Sono arrivato a bordo.
Mi sentivo quasi una star. Anche se l’unica cosa che volevo era quella di imbarcarmi e basta. Non avevo idea di come avremmo fatto. Però poi mi hanno spiazzato con una idea da sballo. Una bella trovata. Mi hanno imbragato tirandomi su con un telo a mo’ di bansigo. Non so bene cosa voglia dire. Qui parlano una lingua che non capisco gran che. Da marinai consumati.
Però devo dire che l’operazione non mi è dispiaciuta. C’era la Lorenza che si è improvvisata regista e ha ripreso l’intera operazione. Alberto e Pierluigi, detto Pigi, mi hanno imbragato e Amedeo ha tirato la cima così da sollevarmi dalla carrozzina. Mentre ero in aria pensavo che sarebbe stata una figata se mi avessero imbragato con tutta la carrozzina. Magari sarà per la prossima volta.
Allora, la ciurma è composta da Pierluigi di Piacenza. Poi c’è Alberto di Mestre e Antonio di Palermo. L’ammiraglio è Marco. Inoltre sono a bordo Lorenza e Giulia. Tutti amici di una associazione denominata “La nave di carta”. È un’associazione che vuole promuovere interventi di carattere socio-culturale. Ad esempio prossimamente partiranno le crociere wagneriane. Escursioni in barca a vela con l’intento di richiamare la germania wagneriana. Mi facevano notare che il grande musicista ha fatto una crociera da Genova a Spezia. Io non so un tubo di Wagner salvo la cavalcata delle Valchirie sentita nel film Apocalypse Now. Mentre scrivo stiamo mangiando tutti insieme in quadrato. Mi sta piacendo parecchio sta serata. E poi c’è il mare che mi piglia proprio come la prima volta a Genova. Qui tutti sono gentili e carini con me che sono handicappato. Domani andiamo a Livorno dove passeremo quattro giornate di incontri e dibattiti. È previsto pure un mio intervento sul tema della relazione tra handicappati e normali. Un tema che mai avrà una conclusione. Però pur di stare in barca un po’ di giorni può andar bene pure quello. Alla prossima.
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27 aprile 2013 – Vincenzo è a bordo
La barriera architettonica non è una barriera. Lo dice Vincenzo. La frase esatta è stata: «Quella storia delle barriere architettoniche, sì lo so che voi ci tenete molto a rimuoverle, ma a me non me ne frega niente. Ma dal mio punto di vista è un’occasione per farmi toccare. Mi piace essere toccato, se nessuno mi tocca non esisto. Rimuovere le barriere architettoniche consente a voi normali di non vedermi più. »
Perfetto. Vincenzo è a bordo da meno di dieci ore e ha già ribaltato tutti i nostri più radicati convincimenti. Primo fra tutti quello sulle barriere architettoniche. E in effetti devo ammettere che il suo ragionamento fila.
Per metterlo a bordo l’hanno preso in braccio, l’hanno toccato ( io ero impegnata a fare le riprese non pensate che mi sia sottratta), l’hanno portato fino in bagno, l’hanno fatto sedere in quadrato. Dopo un’ora la sua disabilità ( Vincenzo non cammina) era condivisa, normalizzata. Credo proprio perché era stata toccata. Toccata fisicamente intendo.
«Perché la disabilità fa paura Vincenzo?»
«Perché avete paura di essere contaminati. Perché sotto sotto il vostro pensiero è: “Meno male che c’è lui su quella sedia e non io”. Senso di colpa e sollievo per lo scampato pericolo, voi normali non trovate un equilibrio tra questi due sentimenti profondi. Tutta la relazione con l’handicap è distorta da questo. E da un sacco di ideologie inutili se non dannose».
Vincenzo ci prendere per i capelli, ci torce la testa e ci obbliga a guardare da un altro punto di vista. Stasera ha preso a martellate le nostre certezze sulle barriere architettoniche. Tremo al pensiero di quello che ci dirà domani.
Noi però ci stiamo già vendicando.
Vincenzo chiede a qualcuno:« Mi prendi lo zaino?» e tutti in coro: «No!»
Così la prossima volta impara a spiegarci come il buonismo sia dannoso per i disabili. Vincenzo vuole essere messo a prua per godersi il viaggio. Piove, lo scirocco soffia e c’è onda. Faremo il trasferimento con il vento dritto sulla prua. Tutti d’accordo: se insiste domani lo mettiamo a prua. Così prende acqua pure lui.
Per il momento tutti in branda. Anche Alessio che vuole essere svegliato quando passiamo davanti a Tellaro. In branda anch’io. Tra cinque ore si parte.
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28 aprile 2013 – Partiti
Siamo partiti alle 5 del mattino. Dormivo e di soprassalto mi son tirato su per la rabbia del motore che sobbalzando mi faceva svegliare. Non l’avevo previsto. Quando si va non riesco proprio a fare niente in barca. Mi sono sdraiato allora e me ne sono partito per le vie della fantasia. E ho cominciato a fantasticare rotte misteriose e sconosciute. E io ero solo contro l’ignoto.
Si, vero, non riesco neppure a fare la pipì però nei sogni di solito non fai ste cose. Comunque c’era un bellissimo sole e verso le 13 siamo arrivati a Livorno. Allora i miei aiutanti Antonio e Alberto mi hanno portato sul ponte. E li mi son sciolto, stavo bene! L’ammiraglio Marco ha compiuto un attracco da vero maestro, così mi ha detto l’aiutante Giulia. Io mi congratulavo però in realtà non ne capisco un tubo. Oggi il porto è gremito di diverse associazioni che hanno fatto del mare e della vela uno stile di vita e un modo di fare “cultura” e intervento sociale. L’atmosfera è di amici anche se magari non ci si conosce che da un momento fa. Mi piace il clima che si respira. Sa di quel sapore salmastro che il mare ti regala senza chiederti nulla in cambio. Stasera siamo sulla barca in tanti. Si mangiucchia e si sbevacchia con simpatia e chiacchierando del più e del meno. Sembra di essere in uno di quei party hollivudiani però qui la gente è reale. Ho conosciuto poi 2 tipi, maschio e femmina, che vivono realmente in barca. A me fa così invidia! Per consolarmi chiederò a Giulia il bacino della buona notte. E a Oscar di raccontarmi una fiaba. Chi è Oscar? Il mio pupazzo orsetto. Non ci lasciamo mai. Ed è inutile che sorridiate sottobanco. Ognuno ha il suo orsetto da qualche parte che gli fa compagnia. ‘Notte e a domani.
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28 aprile 2013 – Partiti
Mi sento in obbligo di alzarmi quando si parte. Non che io sia molto utile durante le manovre di ormeggio e di disormeggio. Il massimo che mi riesce è andare avanti indietro sul ponte cercando inutilmente qualcosa da fare. Partiamo da Porto Mirabello che gentilmente ci ha ospitato: ieri a Fezzano la risacca ci buttava in banchina, qui tutto molto più tranquillo. L’alba spinge la notte quanfo ci muoviamo verso Livorno. A bordo di Oloferne: io, Marco, Giulia, Alberto, Alessio e Antonio e quello scassa ombrelli di Vincenzo. Dietro di noi My Blue Time con Amedeo e Pigi. Ovviamente il Tibi ha abbassato l’audio del vhf e scopriamo dopo un tot che Amedeo sta cercando di chiamarci.
L’alba sul mare è sempre sorprendente. Alessio si è alzato, Giulia ha aperto un occhio e si è data disponibile, Vincenzo sta nella sua cuccetta, Alberto e Antonio sono operativi. Siamo in viaggio. Tra otto, nove ore saremo a Livorno. Si va a motore, vento in faccia, zero possibilità di tirare su le vele. Me ne torno a dormire.
Quando mi sveglio siamo in vista del porto. Aspettiamo di entrare. Aspettiamo un bel po’ in attesa. C’è un bel clima a bordo, ci prendiamo il tempo per commentare le evoluzioni dei gommoni della marina. Va bene, diciamolo, ci togliamo lo sfizio di fare qualche commento sulle abilità di ormeggiatori di quelli di Marina. Ma giuro commenti bonari. Ormeggiamo all’inglese e ancora una volta posso dimostrare tutta la mia inutilità mentre Antonio salta come un grillo da un lato all’altro per afferrare le cime. Però do un contributo fondamentale afferrando una cima mentre lui fa un carpiato tra il bompresso e l’occhio di cubia. Più inutile di me a bordo c’è solo Vincenzo. Una volta tanto sono penultima. Son soddisfazioni.
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29 aprile – La barca e il bushido
Oggi mi è venuto in mento il bushido. Vai a sapere come si formano certe associazioni mentali, per esempio tra il Bushido (se volete pronunciarlo bene l’accento è sulla o) e la barca. Probabilmente perché il Bushido, la morale del guerriero, impone regole di comportamento ferreo: sono sette i principi ai quali un samurai deve attenersi.
Il gi, onestà e giustizia; Yu eroico coraggio; Jin Compassione; Rei, gentile cortesia, Makoto, completa sincerità; Meiyo, Onore; Chugi, Dovere e lealtà. Il Bushido ha come complemento anche una ritualizzazione del rapporto con gli altri che impone un implicito rispetto degli spazi altrui. Una specie di bon ton in versione nipponica ma molto più rigido del galateo del Monsignor Della Casa. C’è un codice anche dei comportamenti in barca. E non mi riferisco a quello noto che impone di chiedere permesso prima di salire a bordo, di non arrivare in barca con armadi vittoriani a rotelle, di non scendere nella zona notte con le scarpe, di non buttare niente di non fisiologico nei cessi. Piuttosto ho in mente un codice più sottile che ha come obiettivo quello di far sta bene la gente a bordo. In barca ci sono quelli bravi e quelli meno bravi (e poi ci sono gli zucconi recidivi come me che dopo decenni non distinguono una drizza da una scotta). A parità di condizioni fisiche ci sono gli abili, nauticamente parlando, e i disabili ( sempre nauticamente parlando). Bisogna cercare un equilibrio o più esattamente un posto per tutti a bordo. È questa la cosa più difficile. L’inclusione, a bordo di una barca, diventa una necessità imprescindibile. Se non la raggiungi nascono problemi. Non sai mai se ci sarà armonia in barca, a volte per quanto tutti si sforzino la magia non scatta. Il linguaggio non verbale è potente in barca. La fisicità ravvicinata rende quasi inutili le parole. Questa volta la magia è scattata e tutti hanno trovato il loro posto. C’è armonia, un’intensa armonia che rende facile dividersi i compiti, trovare le parole giuste. Quando scendiamo a terra e incontriamo gli altri siamo sereni e questo rende tutto fluido. Con tutti o quasi tutti. Io mi piazzo in sala stampa e comincio a prendere coscienza del solito caotico delirio organizzativo di MareLibera. Ma questa volta sono decisa: lascerò che le cose scorrano, che si risolvano da sole con l’aiuto di tutti. In un certo senso è colpa di Vincenzo se mi si è placato il delirio di controllo: se lui può accettare il fatto di essere in balia di quegli sgarupati di Antonio, Pigi e Alberto, allora io posso accettare di essere in balia di Enzo, Marco, Stani e tutta la truppa delle associazioni di MareLibera. Lasciare che le cose accadano, semplicemente. Si può fare.
Oggi Vincenzo è stanco non scriverà niente. Credo sia sommerso dalle emozioni.
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30 maggio – Le parole, la navigazione: siamo noi, siamo qui
Siamo sopravvissuti alla prima cena, abbiamo occupato manu militari il ristorante del povero Sauro, abbiamo dimenticato di comperare il pane per 300 persone e ci siamo ritrovati con persone che non vedevo da un anno, da MareLibera 2012. I ragazzi della Marina che stanno all’ufficio stampa sono una sorpresa. Ragazzi poco più che ventenni. Mi chiedo come ci vedano. Riusciranno a percepire qualcosa del nostro modo di vivere il mare. Come siamo a loro occhi? Difficile capirlo. Oggi è il giorno del convegno. E’ quello del decennale e Enzo ha avuto la straordinaria idea di invitare tutti quelli che fanno parte di questa storia, anche chi ha preso strade diverse. E’ stata un’idea grandissima. C’era bisogno di un grande abbraccio che comprendesse tutti. Bisognerebbe essere sempre in grado di ricomporre e abbracciare. Una capacità che mi manca. Ci devo lavorare.
Il convegno è stato bello. Vincenzo ha conquistato la platea che sedeva su sedie che aveva aiutato a pulire. “Sono handicapato, non diversamente abile. Anzi sono solo Vincenzo Russo. Il problema delle etichette è di voi normali. ” ha detto nel suo intervento. E’ poliomelitico da quando ha tre anni e non ha mai accettatto la sua condizione “se l’accettassi mi rassegnerei e se mi rassegnassi sarei morto”. dice. Vincenzo è riuscito a trasformare la rabbia contro la sua poliomelite in forza per andare oltre i suoi limiti fisici. Ora ha sessant’anni e deve affrontare l’idea che prima o poi dovrà dipendere da qualcuno molto di più di quanto accada ora. La dipendenza dagli altri è un argomento da approfondire in un mondo che ha fatto dell’individualismo una regola di vita.
Don Mazzi è arrivato ed è stata un sferzata di energia per tutti. “Noè con una barca ha salvato il mondo” ha detto e ha spiegato la necessità di Arrivare prima. Prima che il disagio diventi dolore e devianza, prima che il male di esistere mini le esistenze. Ho guardato i ragazzi della Fondazione Exodus dell’Elba. Alcuni di loro li conosco da un po’, li ho visti cambiare, crescere, riprendersi la vità. C’è chi, come B. ( scusate ma non sono autorizzata a raccontare i fatti degli altri) adesso comanda barche e la propria esistenza con la stessa energia.
Se io sono qui è per merito di Marco, se lui è qui è per merito di Marta e Stani di Exodus e la catena è lunghissima: tutti siamo qui portati da qualcuno. Ciascuno ha le sue motivazioni ma tutti siamo collegati a qualcun altro. Vincenzo semidistrutto dalla stanchezza ( e non vi dico come sono sfatti Alberto, Pigi, Antonio che lo portano su e giù da mane a sera!) mi chiede il computer per scrivere la sua parte.
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1 maggio – In mare.
Vincenzo non è riuscito a scrivere niente perché ho sequestrato il computer per cercare di sistemare gli equipaggi di oggi. Non serviva: alla fine tutti hanno trovato il loro posto, almeno credo e spero. Oggi regata: noi abbiamo a bordo un gruppo di Gubbio. A rigore di classificazione sono disabili psichici.
Antonia si spaventa quando la barca sbanda e vuole scendere, Vincenzo in coperta sembra invece godersela anche se ci dobbiamo mettere in due a tenere la carrozzina. Con il gruppo di Gubbio andiamo in quadrato a berci un caffè e a chiacchierare mentre il nostro equipaggio punta verso il porto; scopro un gruppo divertentissimo. Mattia è un esperto di biancheria intima (lavora in una merceria) Graziano adora il caffè; Antonia si è calmata, Anna se la gode. Prendo la telecamera e registro le loro impressioni. Nicoletta e Chandra, le due operatrici sono belle persone. Ce ne stiamo così a chiacchierare, a ridere. Alessio nella sua cuccetta fa un pisolino. La giornata scorre veloce. Per me è arrivato il momento di tornare a casa. In macchina con Giulia e Vincenzo e Pigi e Francesca. Pigi alla stazione verso Pavia, Francesca all’aeroporto verso Catania, Giulia al porto Mirabello alla sua macchina, Vincenzo a Fezzano al suo furgone high tech. Io sulla Cisa in macchina da sola. Tranquilla verso la normalità della giorno dopo.
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1 maggio
È stato bello. Mi son sentito bene, leggero. Ieri il convegno e le interviste. Poi l’uscita in mare tutti insieme. È sempre una felicità densa e indicibile quella che travolge quando in mezzo al mare pare che l’infinito ti abbraccia inesorabile nella sua struggente tenerezza. E ti senti piccolo e insignificante e vorresti abbandonarti a lui con tutta la tua umana e fragile innocenza. Oggi ci sarà la regata e poi cominceranno i saluti. Sarà quel momento come al solito quello che graffia un po’. Dirai ciao e qualche addio. Ma è tosto dirlo a nomi che conosci appena ma che ti segnano e ti porterai via come il profumo del mare.